Cenni storico-etnografici, Religione e Tavole Eugubine

Cenni storico-etnografici, Religione e Tavole Eugubine

Dalla fine del IV secolo a.C., entrarono in contatto con i Romani e, dopo la battaglia di Sentinum (295 a.C.) detta anche “Battaglia delle Nazioni”, che pose fine alle guerre sannitiche e nella quale Roma sconfisse la lega gallo-etrusco-italica, gli Umbri furono sottomessi, pacificamente, ai vincitori e, in virtù della loro sostanziale neutralità poterono mantenere la propria identità culturale e religiosa almeno fino al I secolo a.C., epoca alla quale risalgono i testi in lingua umbra contenuti nelle già citate Tavole eugubine.

Cenni storico-etnografici

«Il Popolo Umbro è ritenuto il più antico d’Italia. Si crede infatti che gli Umbri fossero stati chiamati Ombrici dai Greci perché sopravvissuti alle piogge quando la terra fu inondata..». Così Plinio il Vecchio, nella “Naturalis historia”, descrive gli Umbri, un popolo indoeuropeo arrivato nella penisola italiana tra il 1300-1200 a.C. stanziandosi nell’area compresa tra i fiumi Po, Tevere ed Esino, quindi in Emilia, Romagna, Marche, Umbria e Toscana (area detta “Grande Umbria”) per poi più tardi, più limitatamente e più a lungo, per via dell'espansione dei Sabini e dei Piceni, peraltro popoli entrambi di ceppo umbro e dei Galli Senoni, ridimensionarsi gradualmente nell’area compresa tra l’alta valle del Tevere e l’Adriatico.
Gli Umbri ebbero una loro lingua originale di ceppo indo-europeo scritta con un alfabeto di derivazione etrusca e latina e una religione altrettanto originale. Le Tavole Eugubine, redatte tra il V e il I secolo a.C., ma che probabilmente riportano testi più antichi, sono una fondamentale fonte documentale, rappresentando l'unico  documento scritto utile per lo studio di questo popolo che ebbe una chiara e consapevole coscienza della propria individualità etnico-culturale.
Inizialmente organizzati socialmente in insediamenti fortificati insediati su alture che oltre a essere naturalmente difesi, sfruttavano al meglio le caratteristiche geomorfologiche consentendo un agevole controllo delle aree circostanti, intorno al VII secolo a.C. gli Umbri iniziarono ad aggregarsi in città-stato federate tra loro (Totae). Tra queste, e nello specifico di questa più strettamente e circoscritta nostra area geografica, in un raggio di una ventina di chilometri da Scheggia, si possono menzionare Gubbio (Ikuvium) capitale religiosa degli Umbri, Tarsina (Gualdo Tadino), Luceoli, (nell’area dell’odierna Pontericcioli e a lungo identificata erroneamente con la stessa Scheggia), Sigillo, abitata dalla Tribù dei Suillates (cfr. Plinio il Vecchio “Naturalis historia”) e Chiaserna, importante insediamento elettivo della tribù dei Claverni. Fu in questa fase che gli Umbri, svilupparono un'economia basata sull'agricoltura, l'allevamento e la metallurgia.
Dalla fine del IV secolo a.C., entrarono in contatto con i Romani e, dopo la battaglia di Sentinum (295 a.C.) detta anche “Battaglia delle Nazioni”, che pose fine alle guerre sannitiche e nella quale Roma sconfisse la lega gallo-etrusco-italica, gli Umbri furono sottomessi, pacificamente, ai vincitori e, in virtù della loro sostanziale neutralità poterono mantenere la propria identità culturale e religiosa almeno fino al I secolo a.C., epoca alla quale risalgono i testi in lingua umbra contenuti nelle già citate Tavole eugubine.
 

La Religione

La religione degli antichi Umbri, politeistica e animistica, era incardinata all’interpretazione dei fenomeni naturali strettamente relazionati agli aspetti dei cicli stagionali, specie primaverili e che trovava ispirazione e fondamento nella divinazione praticata attraverso ornitomanzia, ovvero l’osservazione e l’interpretazione del volo di uccelli ben identificati: la cornacchia, l’upupa, la gazza e, soprattutto il picchio. Le liturgie erano celebrate e consacrate con riti sia sacerdotali che collettivi, all’interno e al fuori delle città.
Le cerimonie rituali erano officiate dal Collegio dei Fratelli Atiedii, sacerdoti di Ju-pater (equivalente al latino Juppiter), custodi dell’ortodossia e delle tradizioni religiose.  A questo proposito si deve di nuovo fare riferimento alle Tavole eugubine, perché in esse sono raccolte le prescrizioni rituali e liturgiche regolatorie del suddetto Collegio sacerdotale.
Il "pantheon" umbro, non confrontabile con quello greco o romano, contemplava numerose divinità i cui nomi erano caratterizzati dagli epiteti con i quali le stesse erano connotate in ragione delle loro diverse funzioni. Un “Olimpo”, nel quale primeggiava la Triade formata da Iupater, Mart e Vofione, rispettivamente indicanti il potere sacerdotale, quello militare e quello economico e, quarta deità, la grande dea Cupra, legata alla fecondità e all’acqua.
 

Le Tavole Eugubine

Giacomo Devoto, probabilmente il maggiore tra gli studiosi delle Tavole, le definì "il più importante documento rituale di tutta l'antichità classica".
Unica fonte originale e diretta per lo studio della civiltà umbra, le sette Tavole di bronzo, databili al II secolo a.C., sono un documento liturgico che tratta di rituali cerimoniali. Incise recto-verso, tranne due. Alcune sono scritte in alfabeto latino, altre in umbro derivato dall'etrusco e una, la Tavola V, in caratteri misti (umbri nel recto e nelle prime sette righe del verso che poi continua con i caratteri latini). Si suppongono copie di più arcaici originali ed è plausibile che fossero di corredo strumentale al Collegio dei Fratelli Atiedii. Il loro contenuto si compone di indicazioni di riti purificatori, atti cerimoniali e prescrizioni rituali ad uso di quel Collegio sacerdotale.
La Tavola I, in umbro, e le corrispondenti tavole VI e VII in latino più in particolare, descrivono una cerimonia espiatoria da iniziarsi con l’osservazione del volo degli uccelli e indicano i punti cardinali dai quali essi devono essere avvistati, la validità delle azioni, i fattori che possono invalidare il rito e, di conseguenza, le eventuali sanzioni.
Le Tavole furono rinvenute nel 1444 nelle “Grigna de’ Bonifazio” probabilmente nei pressi di Scheggia ma la localizzazione esatta del ritrovamento è tuttora dibattuta. Per lungo tempo si teorizzò anche sul loro numero originario ovvero nove invece che sette, teoria però smentita da un rogito del 1456 in virtù del quale tale Paolus Gregorius de Signa (Scheggia?) le vendette al Comune di Gubbio in cambio di alcune rendite economiche. Nell’atto è chiaramente scritto che l’oggetto della compravendita furono: “sette tavole d’avorio scritte in caratteri diversi, alcuni con ogni evidenza latini e altri misteriosi”. Del perché si parli di “tavole d’avorio” non è dato sapere, ma che fossero sette al momento del rogito è un dato quantomeno inconfutabile.